Cos’è la sostenibilità ambientale e come trasformare l’impresa e le sue routine in un’impresa innovativa in questa nuova realtà? La confusione è tanta e il rischio è rimanere impantanati in un dedalo di “etichette green” senza comprenderne gli straordinari scenari di sviluppo e progresso. La sostenibilità, invece, è un percorso di consapevolezza degli scenari e delle conoscenze necessarie per la transizione ecologica del nostro sistema economico e sociale, con la quale affrontare le sfide dell’innovazione.
Uno dei presupposti fondamentali della sostenibilità ambientale delle attività del sistema produttivo e di consumo deve fondarsi sulla caratteristica dell’auto-organizzazione; la nostra interferenza con la natura da qui in avanti deve essere un ciclo tecnico autoregolato da uno schema simile al “non equilibrio” della natura. Per questo abbiamo bisogno di un ciclo tecnico di utilizzo, riuso e riciclo delle risorse, progettato con tutta l’intelligenza possibile, perché trovi la sua struttura autoregolante nei cardini di raccordo tra pubblico e privato e nella molteplicità degli operatori. Un sistema, dunque, pianificato per riutilizzare energia e materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi e i rifiuti; si avrà sempre bisogno di input di risorse dalla biosfera e si produrranno rifiuti verso la biosfera ma questi flussi possono essere armonizzati. Il modello economico lineare, invece, “estrazione-uso-abbandono” si basa sull’accessibilità di grandi quantità di risorse ed energia ed è sempre meno adatto alla realtà in cui ci troviamo ad operare.
Fig. 1 – Ciclo virtuoso attività produttive
(fonte: EEA, European Environment Agency)
Nel sistema lineare, le iniziative a sostegno dell’efficienza – che lavorano per la riduzione delle risorse e dell’energia fossile consumata per unità di produzione o addirittura con meccanismi di “compensazione” – possono ritardare la crisi del modello economico, ma non sono sufficienti a risolvere i problemi dati delle dinamiche della nostra nostra biosfera e dalla consistenza finita degli stock. Si pone quindi come necessaria la transizione dal modello lineare ad un modello nuovo, che nella considerazione di tutte le fasi, dalla progettazione, alla produzione, al consumo, al fine vita di ogni prodotto, sappia cogliere ogni opportunità di limitare l’apporto di materia ed energia in ingresso e di minimizzare scarti e perdite, ponendo attenzione alla prevenzione delle emissioni ambientali negative (tra cui discarica e incenerimento) (Fig. 1).
Fig. 2 – Ciclo tecnico delle attività economia circolare
(fonte: Forethinking Srl SB)
Quando è stato coniato il termine economia circolare non si intendeva un sistema economico e sociale basato sul sistema del “riciclo” e sul recupero energetico (inceneritori) per la riduzione dei rifiuti in discarica. Al contrario s’intendeva un sistema di utilizzo efficiente delle risorse scarse del nostro pianeta e, infine, un reale equilibrio realizzato con l’eco-progettazione che ha come obiettivo il riutilizzo dei materiali nel ciclo tecnico, ovvero nel ciclo biologico della biodegradabilità o compostabilità dei materiali stessi (Fig. 2).
I cicli tecnici o industriali comprendono:
– riuso;
– riciclo chimico: processi termici o chimici che consentono di riottenere le materie prime di partenza che possono essere riutilizzate nell’industria chimica;
– riciclo meccanico: processi meccanici che differenziano, sminuzzano, recuperano il materiale per essere riutilizzato in altri processi industriali.
I cicli biologici comprendono la biodegradabilità o la compostabilità:
– biodegradabilità: è la capacità delle sostanze e materiali, di essere mediante attività enzimatica di microrganismi. Una sostanza biodegradabile viene degradata in elementi più semplici che possono essere assorbiti nel terreno;
– compostabilità: un materiale è detto compostabile quando in seguito alla sua degradazione, naturale o industriale, si trasforma in compost; diventa nutriente per il terreno.
Nell’approccio circolare significa rivedere tutte le fasi della produzione e prestare attenzione all’intera filiera coinvolta nel ciclo produttivo. Quest’attenzione passa per il rispetto di alcuni principi di base:
1) eco-progettazione, cioè progettare i prodotti considerando l’intero ciclo di vita per minimizzarne gli impatti ambientali negativi. Per ottenere questo può essere utile pensare fin da subito al loro impiego a fine vita, quindi con caratteristiche che ne permetteranno la condivisione, il prolungamento della durata, il riuso, la ristrutturazione, lo smontaggio, il riciclo ed infine la rigenerazione;
2) modularità e versatilità, ossia dare priorità alla modularità, versatilità e adattabilità del prodotto affinché il suo uso si possa adattare al cambiamento delle condizioni;
3) energie rinnovabili e approccio rigenerativo, vale a dire affidarsi a energie prodotte da fonti rinnovabili favorendo l’abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili.
Pensare in maniera olistica, avendo attenzione all’intero sistema e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti
I principi dell’economia circolare, però, da soli non bastano. I cicli biologici e tecnici sono destinati a collaborare e, utilizzati, coerentemente possono rappresentare soluzioni alternative e/o integrate per garantire la coesistenza del progresso economico e sociale con la natura. Questa collaborazione e integrazione possono raggiungersi solo attraverso una più profonda comprensione dei meccanismi di autoregolazione della natura stessa. In biologia l’autopoiesi rappresenta il primo meccanismo di apprendimento e autosostentamento che si complica evolvendosi in una rete di relazioni generative di simbiosi sino a comprendere tutti i processi metabolici della biosfera. Si tratta di una fitta rete di relazioni e processi che generano costantemente novità, rappresentando, quest’ultima, la chiave stessa dell’evoluzione. Ancora più sorprendente è apprendere che l’essenza di questo processo evolutivo in natura non sia la competizione ma la collaborazione. La diversità e l’armonia, quindi, generano il progresso; questo deve essere il perno del non equilibrio dei cicli tecnici integrati con quelli della natura. Non è possibile pensare che una tecnologia (per esempio gli inceneritori o una mega centrale di produzione di energia) possa rappresentare la soluzione, al contrario diverse tecnologie possono integrarsi tra loro e favorire la proliferazione di una fitta rete di relazioni generative. Siamo alla soglia di una nuova era che comprende nuovi sistemi che apprendono scambiandosi informazioni. Da questo punto di vista siamo lontani dagli obiettivi che le stesse comunità internazionali si sono posti; uno dei problemi critici rimane, infatti, il sistema fallimentare del riciclo dei rifiuti. Quest’ultimo, sulla base di una promessa teorica, consente di continuare a produrre materiali inappropriati con l’inganno del riciclo. Di fatto i materiali non sono recuperati sia per problematiche di disassemblaggio, sia per la composizione chimica dei materiali stessi. Ancora oggi hanno il loro fine vita nelle discariche o negli inceneritori. Un esempio di inadeguatezza del sistema del riciclo
è dato dall’inquinamento del ciclo incontrollato della plastica. In relazione a quest’ultima, infatti, a dispetto delle potenzialità di recupero e riciclo è stato rilevato che solo il 14% è effettivamente raccolto per il riciclo, mentre la maggior parte di milioni di tonnellate prodotte annualmente è destinata a disperdersi nell’ambiente, nelle discariche e negli inceneritori, con tutte le conseguenti immissioni tossiche in quest’ultimo caso.
Ma come deve adeguarsi il sistema produttivo industriale?
I processi di sviluppo di nuovi prodotti o servizi delle aziende soffrono di rountine e consuetudini; al contrario il nuovo paradigma di eco-progettazione impone l’integrazione di competenze di strategia, design industriale, chimica che rende tutti i vecchi processi di progettazione inadeguati alle nuove sfide di mercato. La strada consigliata è costruire un team interno all’azienda con persone fortemente motivate e curiose di scoprire nuovi sistemi, con l’integrazione di un gruppo di ricerca esterno composto da un mix di strategist (che possano rendere i progetti in ogni caso coerenti con i mercati di riferimento dell’azienda), chimici ed esperti di scienze ambientali, designer industriali per realizzare insieme al team interno nuovi prodotti o servizi eco-compatibili. Come si legge nel Green Report 2021 di Unioncamere “nel periodo 2021-2025 il 38% del fabbisogno di professioni richiederà competenze green con importanza elevata (circa 1,3-1,4 milioni di occupati)” (https://www.symbola.net/wp-content/uploads/2021/10/Presentazione-GreenItaly-2021.pdf).
Fig. 3 – Metodo Forethinking© (©Copyright 2019 Forethinking Srl SB. All Rights Reserved)
Il Metodo Forethinking©, oltre ad offrire un impulso per una nuova strategia d’innovazione per l’eco-sostenibilità è un esempio di sintesi delle nuove conoscenze per lo sviluppo di questo processo di sperimentazione e riprogettazione: focus su opportunità di innovazione e sviluppo di nuovi prodotti ecosostenibili, analisi degli aspetti ambientali critici per la riprogettazione dei prodotti/servizi (Hotspots Life Cycle Assessment), eco-design assistito da modello parametrico LCA e screening chimico/strutturale dei materiali, ricerca di nuovi materiali, finanza per l’innovazione. Tutte attività che hanno un diretto effetto sulle possibilità delle imprese di realizzare concreti vantaggi competitivi nell’ambito del nuovo paradigma economico e sociale (Fig. 3).
Fig. 4 – Life Cycle Assessment
L’analisi del ciclo di vita (LCA) è un metodo di valutazione (definito nello standard ISO 14040 environmental management – life cycle assessment) per determinare l’impronta ambientale di prodotti o servizi durante tutto il loro ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime, ai processi di trasformazione dei semilavorati, al trasporto, alla distribuzione, al consumo ed al fine vita del prodotto/servizio stesso.
Il Life cycle thinking, introdotto nel Metodo Forethinking©, elabora feedback di carattere ambientali per una nuova concezione di eco-progettazione valorizzando lo strumento dell’LCA come uno strumento “parametrico” per realizzare una strategia proattiva di innovazione (Fig. 4).
Lo studio LCA del prodotto o servizio è un’attività virtuosa realizzabile in tutti i settori ed è un grado di conoscenza avanzata che consente di valutare, in modo ampio e oggettivo, il reale contributo di un sistema di produzione, prodotto o servizio in relazione agli aspetti ambientali, senza criminalizzare una o l’altra soluzione o materiali sulla base di giudizi sommari. Una delle evidenze più frequenti nello studio LCA applicato a diversi settori del made in Italy è l’impatto dello spreco dei materiali, in minima parte dovuto agli scarti di lavorazione, prevalentemente dovuto all’assenza di una progettazione del fine vita del prodotto o del sistema proposto (Fig. 5).
Fig. 5 – Studio LCA settore manifatturiero (fonte: Forethinking Srl SB, 2019)
I materiali, quindi, non solo l’energia, rappresentano una delle sfide più importanti per armonizzare il ciclo tecnico dell’attività produttiva con l’ambiente. Per questa sfida uno degli alleati più importanti è proprio la chimica. La ricerca Forethinking, in collaborazione con il Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari, ha realizzato un protocollo di screening dei materiali, comprendendo le informazioni sulle componenti chimiche indicate come pericolose dalle normative Reach e, nel caso delle componenti maggioritarie, l’analisi di queste ultime, anche se non riconosciute
come pericolose. Delle componenti chimiche dei materiali analizzati è valutata la struttura, l’origine (fossile o rinnovabile), il metodo di sintesi (nel caso in cui è dichiarato o è noto) e gli eventuali pericoli ambientali. Al termine della valutazione delle componenti chimiche del materiale si valuta quest’ultimo nella sua totalità, facendo riferimento a riuso, riciclo e biodegradabilità e alla possibilità di inserirlo all’interno del ciclo tecnico o del ciclo biologico. È importante sottolineare la differenza fra le sezioni riuso e recupero: nella sezione riuso si considera l’opzione di impiegare il materiale in un’altra applicazione senza la necessità che questo subisca trattamenti o modifiche consistenti; nella sezione recupero, invece, si valutano metodologie alternative di riciclo (meccanico o chimico), ovvero di smaltimento come il recupero energetico, accertandosi che durante il processo di combustione non si generino fumi tossici o dannosi per l’ambiente. Nel ciclo biologico si valuta, invece, la biodegradabilità del prodotto. Da queste valutazioni emerge spesso la necessità di considerare materiali alternativi ovvero la ricerca di nuovi materiali e la collaborazione con il mondo della ricerca è una delle attività strategiche più importanti. In conclusione, la complessità delle aziende è aumentata sia nella dimensione della progettazione che in quella di approvvigionamenti e rinnovamento delle filiere; i percorsi dell’innovazione e della ricerca di nuovi vantaggi competitivi, non possono prescindere da valutazioni su base nuove conoscenze e trend di mercato sempre più convergenti sui temi della sostenibilità ambientale. Per questo motivo, non saranno sufficienti i rapporti di responsabilità d’impresa della nuova direttiva CSRD, corporate sustainability reporting directive (ESG, SDG’s) o le certificazioni Ecolabel di prodotti, il più delle volte mera conformità a norme e sistemi ormai superati. In questo scenario, confusione e greenwashing sono il più grande pericolo delle imprese, rischiando l’obsolescenza dei prodotti e dei servizi. Non sarà sufficiente neanche lo status di benefit company se quest’ultimo non è realmente definito ed integrato con lo scopo “core” dell’azienda stessa. Tutti questi meccanismi di “compliance” messi insieme non garantiscono l’obiettivo primo della creazione di valore per i consumatori e progresso della società del futuro con nuove esigenze di equilibrio delle risorse del nostro pianeta. La sostenibilità, invece, deve essere una strategia, un progetto di innovazione per restituire ai “nuovi” consumatori qualcosa di tangibile; se non c’è questo “contenuto” nei programmi per la sostenibilità, le imprese avranno solo consumato inutilmente risorse finanziarie per raccontare o illudere temporaneamente tutti sul roseo futuro dell’azienda stessa, sino ad autocompiacersi così profondamente da diventare miopi rispetto alle nuove competenze che cambieranno il mondo. La quarta rivoluzione industriale non è data solo dal progresso dell’intelligenza artificiale (IA), dalla robotica o dall’Internet delle Cose (IoT), dalla chimica verde, quanto dalla collaborazione di queste conoscenze verso un obiettivo molto più grande: la coesistenza con la natura e l’eliminazione degli sprechi. La migliore garanzia per il successo di questo processo evolutivo, proprio per favorire l’autogenerazione a tutti i livelli, è la compartecipazione di tanti, diversi, piccoli e grandi operatori. Questa rete deve essere completamente costruita e siamo solo all’inizio.
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BIBLIOGRAFIA
[1] J.M. Benyus, Biomimicry, HarperCollins Books, Australia, 1997.
[2] F. Capra, La rete della vita, Doubleday Anchor-Book, NY, 1996.
[3] R. Carson, Silent spring, Houghton Mifflin, Boston, US, 1962.
[4] K. Raworth, Doughnut Economics, Random House Business Books (London), 2017.